La domanda sembra avere una risposta scontata (“per vendere più moto”) eppure l’obiettivo è un altro: si punta ai giovani e al mass market
La prima volta che ho sentito parlare di una Ducati da fuoristrada puro credo sia stato 3 o 4 anni fa. Ricordo d’aver pensato subito ad una bufala, lo ammetto, perché nonostante la Casa negli ultimi anni abbia in qualche modo “rinnegato” alcuni cardini storici della sua produzione sportiva (motori bicilindrici, telai a traliccio e frizioni a secco) mai e poi mai mi sarei aspettato una scelta così di rottura con la sua tradizione. Per Triumph il discorso è simile, tra l’altro con una vocazione per le corse che nella storia recente è stata molto inferiore rispetto a Ducati. Allora perché queste due aziende investono in un settore per loro totalmente nuovo, iper-competitivo e dominato da concorrenti (KTM su tutti) dalla lunghissima tradizione nell’off-road specialistico?
Sbaglia chi rievoca quanto accaduto con BMW sul finire della prima decade degli anni 2000. Anzi, vale la pena rinfrescare la memoria: allora i tedeschi realizzarono una moto (G450X) certamente alternativa sotto il profilo tecnico ma che denunciava scarsa conoscenza degli ingegneri nel settore specifico. Ricca di spunti tecnici alternativi, la moto mostrò forti limiti nell’uso specialistico. Addirittura, il due volte campione del mondo Enduro David Knight, chiamato per portare in pista la creatura di Monaco nel 2009, lasciò a metà stagione il Team ufficiale proprio per la scarsa competitività del mezzo, e di lì a poco tutto venne gettato alle ortiche, a parte un timido tentativo di riciclo del materiale con il brand Husqvarna allora di proprietà tedesca.
Ducati e Triumph non commetteranno questo errore, c’è da esserne certi. Se si esclude il motore bolognese con l’esclusivo sistema di distribuzione desmodromico, per quel che si è potuto vedere i progetti delle due aziende paiono decisamente più convenzionali, con la concretezza che non sembra lasciar strada ad azzardi ingegneristici. E non potrebbe essere altrimenti, perché in ballo c’è molto di più di qualche milione investito nello sviluppo dei progetti. Si tratta senza dubbio di un chiaro esempio di “estensione di linea” ma non è rivolta solo a crearsi spazio in una nuova nicchia di mercato, bensì anche ad abbattere delle barriere verso nuove possibilità commerciali che fino a oggi, con la produzione attuale, a Triumph e Ducati sono stati precluse. Entrare nel mondo off road significa potenzialmente poter arrivare a creare una gamma che spazi dalle grosse monocilindriche più versatili fino alle piccole cilindrate. Vi faccio un esempio: come vedreste oggi una 125 da enduro marchiata Ducati? Immagino come qualcosa di anomalo, indigesto e insensato. I ducatisti più duri e puri vedrebbero questa scelta come un affronto, i concessionari non sarebbero attrezzati per vendere un prodotto simile e, in generale, rischierebbe di essere un fiasco apocalittico. È proprio questo il punto: oggi è così, ma quando la Casa bolognese scenderà nell’arena internazionale del fuoristrada e il suo brand sarà sdoganato in questo ambito comincerà a gettare le basi per poter estendere la nuova linea prodotto in senso verticale, ovvero spaziando anche alle cilindrate inferiori e iniziare così a coltivarsi i motociclisti più giovani che un domani saranno fidelizzati al Brand. Oggi la 450cc, domani la 250cc e poi la 125. E nulla più vieterà di impiegare le medesime basi tecniche per modelli che spazino in differenti categorie, come ad esempio una sportivetta stradale, ovviamente esclusiva e ambiziosa come da tradizione. Sarebbe tutto più naturale, non trovate? Idem per Triumph, il discorso non cambia di una virgola. Sono entrambi brand adulti che fino ad oggi si sono rivolti a un pubblico maturo (e con possibilità di spesa) ovvero una condizione/strategia che di fatto finora ha tenuto sbarrate le porte ai più giovani, precludendo, anche e soprattutto, ai mass market dei paesi in via di sviluppo. Ora lo scenario è destinato a cambiare, puntando idealmente ad uscire dai confini del recinto.
Una Pitbike made in England?
Pensare che da Hinckley o Borgo Panigale possa uscire una pitbike sembra una bestemmia ma sono quasi certo che qualcosa di simile avverrà. Non oggi, magari non domani, ma per coltivare i giovanissimi piloti molti altri brand hanno fatto – e fanno – proprio così. Pensate alle minicross KTM/Husqvarna, alle Yamaha PW 50, alle Kawasaki KLX 110 o ancora alle piccole Honda CRF: è banale a dirsi, ma sono moto fatte non per i numeri di vendita, bensì per coltivare i clienti di domani. Hanno l’obiettivo di far sì che il bambino cresca fidelizzato o comunque pronto – una volta adulto – a valutare scientemente l’acquisto di quel brand. Perché lo guiderà sul giardino dietro casa, lo vedrà nelle scuole di avviamento al fuoristrada o perché un amichetto più fortunato la possiede. A occhio direi che la totalità dei piloti di oggi siano passati da quelle ruotine artigliate per muovere i primi passi motociclistici.
Quindi, se oggi è impensabile una “motina” Ducati o Triumph è proprio perché risulta lontana anni luce dalla tradizione dei brand. L’ingresso in forze nel fuoristrada, a maggior ragione se con successo agonistico, non farà altro che sdoganare i marchi in questo universo, che con il contributo di una estensione della gamma prodotto verticale aprirà di fatto la strada a nuovi scenari tutti da scoprire. In sintesi, l’investimento di oggi è rivolto ad una visione a lungo raggio, con orizzonte temporale di 10 o 15 anni.
Strategie simili per una sfida molto impegnativa
Il difficile sarà costruirsi una propria identità nell’off-road, qui si giocherà la partita vera. E sarà molto dura. I concessionari Ducati e Triumph in gran parte non sono pronti a questo mercato, ad esclusione di quelli che già collaborano contemporaneamente anche con aziende dalla tradizione fuoristradistica come KTM. Infatti è bene ricordare che si tratta di un settore totalmente differente da quello stradale, sportivo o turistico. È un ecosistema fatto di moto ampiamente sfruttate e spesso bistrattate, di ritiro dell’usato quasi “alla cieca”, assenza di garanzie per gli acquirenti, di manutenzione spesso fatta in casa, di ricambisti aftermarket affermati e, ciliegina sulla torta, pure di importazioni parallele con annesse truffe ai danni dell’erario (e grane per gli acquirenti). E poi c’è il business collaterale fatto di abbigliamento dedicato, accessori e componentistica varia, tutti elementi potenzialmente “pesanti” da gestire per i dealer che approcciano per la prima volta il settore.
Per questa ragione dalle mie informazioni pare che Ducati allestisca solo pochi punti vendita in Italia (inizialmente dovrebbero essere 6) lasciando per ora liberi gli altri store di non occuparsi dei questi modelli. Triumph pare faccia lo stesso, in questo caso i punti vendita selezionati dovrebbero essere inizialmente una decina.
Sarà un successo? Personalmente chi scrive avrebbe optato in entrambi i casi per una strategia differente, ovvero la creazione di due nuovi brand specifici per l’off-road. Se per Triumph avrei optato per la nascita di un marchio ex-novo, per Ducati avrei chiamato questa nuova branchia “X”, sfruttando il gancio dei recenti prodotti Desert X che di fatto sarebbero diventati i capostipiti della nuova famiglia. Questo per una lunga serie di considerazioni, la principale legata al discostamento del settore off-road rispetto al focus storico dei marchi, con tutte le problematiche che questo può comportare. Tuttavia, sono davvero molto curioso di vedere i nuovi modelli e capire quale sarà l’accoglienza degli appassionati. La sfida ai colossi del settore è lanciata.